SITO IN COSTRUZIONE
Blank Jeet Kune Do​
italian organization
​
FIGHT YOUR EGO!
EMILE GRIFFITH Vs BENNY “THE KID” PARET / “IL PUGNO DELLA FURIA”
Gli anni 90 fecero epoca per la Boxe: uscì una serie di videocassette con tutti gli incontri storici di questo sport. Tra tutti uno in particolar modo riporta la memoria indietro nel tempo, quando il 24 Marzo del 1962 ebbe luogo il sanguinoso match tra l’americano Emile Griffith ed il cubano Benny Paret, che fece scalpore estremo.
​
Griffith reagì a un’offesa oltraggiosa combattendo con una ferocia inaudita, direi bestiale, riuscendo alla dodicesima ripresa a chiudere Paret all’angolo, che ormai esausto con lo sguardo spento intrappolato dalle corde, non riuscì a disimpegnarsi. Tutto il mondo vide iniziare una devastante manovra di demolizione alla testa con una violentissima serie di 13 pugni: “era come se il pugile americano stesse colpendo una grossa anguria con una mazza da baseball” (cit. Norman Mailer).
Dopo questa combinazione l’arbitro vedendo che ormai il match era a senso unico, intervenne, sospendendo l’incontro. Paret crollò a terra privo di sensi. Andato in coma fu trasportato al Roosvelt Hospital di Manhattan, dove gli vennero diagnosticate gravi lesioni al cervello. 10 giorni dopo morì. Nelson Rockefeller, governatore dello stato di New York, creò una commissione d'inchiesta governativa di sette persone per fare giustizia sull’episodio.
Da allora nessuna emittente televisiva trasmise più match di Boxe fino agli anni settanta.
In precedenza era già capitato a dei pugili di morire dopo un match, ma questa volta fu diversa da tutte le altre perché la storia di questo incontro è particolare: Griffith era un bisex, in un epoca puritana nella quale bisognava per forza avere dei segreti inconfessabili, degli "scheletri nell'armadio"!
Paret era un campione, un professionista dello sport che aveva fatto della Boxe la propria vita e come tutti i campioni avrebbe dovuto essere integerrimo, corretto e soprattutto rispettoso. Ma era immerso in un ambiente contaminato dall'odiens, dove il migliore doveva dimostrare di esserlo su tutti i fronti, anche a scapito della rispettabilità e dignità altrui. Lui aveva una famiglia, era un esempio di rettitudine, mentre il suo avversario era un diverso. Tuttavia non avendo ben chiaro il concetto di dignità e in un epoca in cui la privacy esisteva solo come codice d'onore, insultò pubblicamente Griffith riguardo le sue preferenze sessuali, ostentando davanti a tutto il mondo la sua tendenza omosessuale, una manifestazione di omofobia che nel loro terzo incontro fu una tragedia. Griffith aveva conquistato il titolo dei pesi welter contro Paret il 1° aprile 1961, ma sei mesi più tardi fu il cubano a vincere, così al Madison Square Garden, avvenne il terzo match tra i due, trasmesso in diretta televisiva dalla ABC.
Questi episodi sono inquadrati in un epoca di transizione tra il vecchio ed moderno dove il pugilato era veramente un sport da duri. I pugili non indossavano nessuna cintura protettiva. I guantoni erano in crine di cavallo e spesso dopo un incontro entrambi i contendenti urinavano sangue per via dei devastanti colpi ai reni. La Boxe di un tempo era veramente letale per via un arbitraggio molto soft, eredità di un albore primitivo, dove stoicismo e coraggio ed “attributi quadrati” erano necessari per sconfiggere la paura. I pugni portati con i guantoni di allora facevano male sul serio, perché era come essere colpiti con una pietra avvolta da un cuscino… Ogni volta che assistevamo ad un incontro in tv ci saltavano subito all’occhio quei guantoni scuri luccicanti, messi in rilievo dal bianco nero del sistema televsivo e sempre decantati dal cronista di turno. Ad un certo punto, è successo nella BoXe quello che ha coinvolto i primi UFC. Un’elevata percentuale di morti, ha costretto a rivedere le regole e ad adottare misure preventive affidabili. Sono cambiati i materiali dei guantoni è stato approvato l’uso del caschetto per i dilettanti, della cintura protettiva ed il numero dei round è sceso da 15 a 12 per le massime categorie. Questa tragica realtà è uno dei motivi per cui Bruce Lee le ha dedicato un illimitato interesse. READ MORE
Nel libro: “IL MONDO DI UN UOMO”: Doppia vita di Emile Griffith di Donald Mc Rae (leggetelo, ve lo consigliamo), riportiamo questo interessante estratto che parla della morte di Paret:
“Il pugile e il suo fidanzato sedevano assieme in un vagone della metropolitana di New York. Emile Griffith aveva un cappello sugli occhi. Non aveva voglia di vedere nessuno prima della pesatura quel sabato mattina, precedente al match serale di domenica al Madison Square Garden per il titolo mondiale, il 24 Aprile del 1962. Era la terza volta nella sua carriera che combatteva contro il suo acerrimo rivale Benny “Kid” Paret. Una carriera che l’avrebbe poi portato ad essere uno dei migliori pesi welter della storia. Griffith disputò 337 riprese in match mondiali – 69 in più di Muhammad Ali. Ma il suo posto nel pantheon della storia del pugilato venne oscurato per sempre dalla una tragica trilogia di incontri contro il cubano Paret. Aveva perso il suo titolo mondiale contro Paret sette mesi prima e il cubano aveva sbeffeggiato Griffith alla pesatura chiamandolo maricón (frocio, pederasta, in spagnolo). Nel mondo maschio dei duri ed irriducibili della boxe, non ci potrebbe essere insulto peggiore – visto soprattutto che la “diversità” delle preferenze sessuali di Griffith, era il suo "SKELETON IN THE CLOSE" (scheletro nell’armadio).
Un segreto gelosamente custodito nella sua privacy. Emile Griffith era gay in un momento in cui l’omosessualità era vista come una malattia, condannata come un peccato e classificata come un crimine. Nella società puritana americana del tempo ricca di tabù impositivi, il sesso consensuale tra due uomini adulti poteva portare alla prigione. L’omosessualità era un reato in ogni suo Stato. Ma non solo, la scienza medica internazionale, definì gli omosessuali come dei Malati di Mente”. Il pugile amava molto andare nei gay-bar tutti i fine settimana, ma per questi motivi gli era impossibile dichiarare pubblicamente le sue preferenze sessuali. La verità doveva essere nascosta al grande pubblico, perché nei primi anni 60, era impossibile credere che un eroe sportivo, un Vero Uomo, un mito dello stoicismo e della forza fosse un omosessuale. Significava essere banditi dall’ambiente con gravi conseguenze! Emile non ci pensava troppo. Era semplicemente felice di appartenere a due tipi di uomini, felice di combattere con loro oppure di amarli.
Uscì dalla metropolitana sulla 42ma. Prima di combattere aveva voglia di passeggiare lungo le strade a lui familiari di Times Square, dove di notte rideva e ballava con i gay ispanici e i le vecchie drag-queens. Poco prima delle 11 di quel Sabato mattina, il giorno del match più importante della sua vita, uomini, donne, travestiti, prostitute e spogliarelliste uscirono dai locali per augurargli buona fortuna. Di solito si fermava a parlare con tutti. Ma quel giorno Emile alzò solamente il braccio salutando il suo popolo e riprese a camminare. Avrebbe combattuto anche per loro. Alla pesatura Paret era di buonumore, mentre sembrava che Griffith si stesse preparando per un funerale. Salì in mutande sulla grande bilancia. Paret “The Kid” indicò il marcatore e si mise a ridere. Non riusciva a credere che Griffith fosse così radioso – con quel peso di 144 libbre (66 KG). Griffith stava per scendere dalla bilancia quando sentì il suo allenatore Gil Clancy gridare: “Ehi, guarda!” Si girò e vide un sarcastico Paret fingere rapporti sessuali con lui, con i suoi allenatori a ridere istericamente. Il cubano agitò un dito verso Griffith: “Ehi maricón”, sogghignò Paret, mi farò te e tuo marito.”Se un pugile bianco avesse deriso il colore della sua pelle Emile avrebbe lasciato stare scrollando le spalle. Ma quell’offesa sulla sua sessualità lo colpì a fondo. Era un omosessuale che, nel 1962, era stato ridicolizzato e tacciato di essere malato e vile. Non importava che stesse cercando di diventare uno dei soli otto uomini sulla terra a potersi definire Campione del Mondo di Pugilato, in un momento storico nel quale la boxe significava davvero tanto in America. In privato Emile era orgoglioso di poter stare con un uomo, se voleva. In pubblico, il fatto che la sua vita privata fosse stata sbeffeggiata in tal modo lo rese furioso. Come poteva Paret essere così crudele? Il suo manager Clancy si mise in mezzo ai due pugili quando Griffith stava per colpire Paret con tutta la forza che aveva in corpo. “Tienitelo per stasera, Emile,” sibilò Clancy. Benny Paret tornò al Bronx. Tutto quanto avvenuto alla pesatura l’aveva prosciugato, in qualche modo. Si sentiva solo. Benny avrebbe voluto che la moglie Lucy fosse venuta con a New York. Ricordava come, appena quattro giorni prima di partire, Lucy l’avesse abbracciato e quanto aveva pianto. Avevano portato il piccolo Benny Jr allo zoo di Miami ma all’ingresso erano stati allontanati. “Sei nero”, gli dissero. Lucy era sbalordita dal fatto che il marito pianse per l’episodio e non il piccolo Benny Jr. L’accaduto aveva ricordato a Benny che aveva ancora l’aspetto di un tagliatore di canna da zucchero cubana più che di un pugile campione del mondo.READ MORE
Benny aveva tentato inutilmente di convincerla a lasciare Miami con lui, così da poterlo vedere conservare il suo titolo di campione. Ma per settimane, anche se lei non gli aveva detto nulla, Lucy aveva sognato cose terribili sull’incontro e non riusciva a togliersi quelle immagini dalla testa. Benny non aveva mai parlato molto, ma quando telefonò a Lucy dal Bronx le parole sgorgavano da lui come sangue da una ferita. Gli faceva male la testa e non voleva combattere. Lucy lo supplicò di ritirarsi, di non combattere, ma Benny sapeva benissimo che il suo manager Manuel Alfaro non l’avrebbe mai permesso. C’era troppo denaro in ballo. Le disse addio sottovoce, e la linea si interruppe.A bordo ring, a fianco dei gangster armati di sigaro e di politici di ogni bando, i giornalisti stavano ancora tentando di riprendersi dalla scioccante scena nella sala del peso dei pugili. Non riuscivano a credere che Paret si fosse comportato in quel modo crudelmente teatrale e che Griffith avesse reagito molto male. Era stato difficile per loro decidere cosa scrivere sull’incidente per la loro edizione serale, ma Howard M Tuckner, del New York Times, ci provò lo stesso. Aveva scritto parole concilianti e sensibili sull’incidente della pesata, ben consapevole del fatto che sulle pagine sportive l’omosessualità era un tema praticamente tabù. Tuckner sapeva bene che “Maricon” era un insulto mortale per la cultura ispanica, ma sapeva anche che viveva in una nazione dove al pianista Liberace era ancora consentito far finta che fosse eterosessuale. Tuckner, come tutti gli altri nel mondo della boxe, sapeva che Griffith fosse omosessuale. Ma questo non incideva per nulla sul suo essere una persona decente e un pugile feroce. Il giornalista scrisse perciò sobriamente che lo sfidante era stato insultato “relativamente alla sua sessualità”. Poco prima delle 21 a bordo ring del Madison Square Garden, Tuckner se la prese furiosamente contro il giovane giornalista Pete Hamill e contro gli idioti responsabili del copy desk al New York Times. Hamill lavorava per il tabloid New York Post, mentre Tuckner aveva fatto molta strada nel giornalismo sportivo sino a diventare una prestigiosa firma del Times. I redattori avevano sostituito la parola “omosessuale”, apparentemente tabù, con l’insensato e offensivo “non-man” (non uomo). Mentre andava al Madison per il match Tuckner leggeva il giornale e non riusciva a credere che il pezzo da lui firmato riportasse che Paret aveva accusato Griffith di essere un “non uomo”. A bordo ring urlò ad Hamill: “Non-uomo? Che cazzo è un non-uomo? Una farfalla è un non-uomo. Una roccia è un non-uomo”. Stava ancora urlando quando le luci si abbassarono: un boato viscerale accoglieva l’entrata nel ring del macho cubano tagliatore di canne da zucchero e del non uomo. La battaglia stava per iniziare. Quella sera la rabbia e dolore di Emile Griffith travasò come un fiume in piena. Fu un match brutale e selvaggio, dominato da Griffith, pur messo ko nel sesto round. Il macello però iniziò al dodicesimo round, con due brutali destri di Griffith che si abbatterono su Paret che vacillò all’indietro verso l’oblio, deformandosi tristemente.
In quel momento Griffith avrebbe potuto far cadere il campione, ma voleva punirlo. Il cubano cercò di tenere alta la guardia ma le sue braccia erano troppo deboli. L’obiettivo di Griffith era la testa ciondolante di Paret. Lo spinse contro le corde con il braccio sinistro per poi colpirlo selvaggiamente con un devastante uppercut destro. Griffith girò il suo corpo in modo che ogni pugno potesse avere la massima forza e potenza. Tutte quelle mazzate colpirono con forza mortale. La testa di Paret si scuoteva sul collo che sembrava un piedistallo rotto. Pugno dopo pugno, una processione scioccante di pugni.
Come se ogni colpo fosse una risposta a quel “maricón”. L’arbitro Ruby Goldstein sembrava impotente, come se la ferocia di Griffith l’avesse paralizzato. A bordo ring si poteva sentire il rumore sordo di ogni pugno a bersaglio, come l’eco lontana di un pesante vanga che scavava una tomba.
Dopo una decina di montanti destri Griffith improvvisamente smise di tenere Paret con la mano sinistra. La vista di quei terribili magli che si abbattevano sulla testa ormai indifesa di Paret finalmente svegliò lo stordito Goldstein che si mise tra i due pugili, ma l’unico modo in cui riuscì a fermare il massacro fu abbracciare disperatamente quell’uomo trasformato in una macchina da pugni. Quando Goldstein e Griffith si trovarono a barcollare uniti in un abbraccio ubriaco, Paret scivolò piano al tappeto.
I suoi occhi iniziarono a chiudersi proprio mentre iniziava a morire. Il suo braccio destro era intrappolato alle corde, mentre quello sinistro si allargava come per una surreale crocifissione. A bordo ring, Gaspar Ortega, che aveva combattuto contro entrambi, era sconvolto.
Il modo in cui Paret era scivolato verso il tappeto, come se avesse già lasciato il suo corpo inerte, spaventò Ortega, che cominciò a piangere prendendo la mano di sua moglie e portantola via. Dovevano scappare via dal Garden, in quel momento.
Pochi minuti dopo, al centro del ring, il commentatore televisivo Don Dunphy probabilmente non aveva capito quello che era successo davvero. “Questo è Emile Griffith, il giovane che ha ripreso il titolo di campione del mondo dei pesi welter dopo un emozionante incontro con Benny ‘Kid’ Paret. Emile, andiamo a rivedere il ko al rallentatore...
Mi piacerebbe che tu potessi descriverci quello che è successo.” Emile esitò, come se avesse paura di rivedersi picchiare a morte Benny Paret su un monitor in bianco e nero. “Gli hai fatto male, adesso guarda”, disse Dunphy, incoraggiando Emile a guardare da più da vicino. “È un gran bel lavoro della telecamera, questo.” “Sì, straordinario”, confermò un’altra voce. Era la prima volta nella storia della televisione che veniva usato un replay al rallentatore.
Mentre continuavano a guardare si ammutolirono. Ma Dunphy, sapendo che la trasmissione di una morte in diretta televisiva era un crimine, finalmente intervenne per chiudere: “Questo è quanto”.
“Ho continuato a picchiare”, disse Emile con orrore. “Ho solo continuato a picchiare”.
​
Questa tragedia segnò per sempre la mente di Griffith, che vinse ancora molto anche in seguito affrontando pugili come Nino Benvenuti, Carlos Monzon e Rubin Carter. Ritiratosi nel 1977 finì a fare la guardia carceraria per vivere. Nel 1992 all’uscita di un bar gay di Times-Square venne picchiato violentemente subendo un grave danno ai reni che piano piano portò la sua salute a spegnarsi. Colpito anche dall’Alzheimer, morì nel 2013 nei pressi di New York".
Abbiamo annoverato Griffith, in quanto è stato indagato a fondo per trovare una possibile connessione con Bruce Lee. Uccidere un uomo per aver subito un oltraggio se pur grave, è contrario ad ogni etica ed ogni morale; è solo un gesto guidato dalla bestialità unita alla sragione. Se osserviamo bene la dinamica del massacro di Paret, Griffith usa una serie di potentissimi destri, ma anche Chen in “Dalla Cina con Furore” usa una raffica simile per uccidere il cuoco. Questo classico “Pugno della Furia” guidato da una vendetta lapidaria è la connessione con una violenza che non è mai fine a se stessa. In entrambi i casi il futuro era stato seriamente compromesso, i valori non esistevano più. Quando si è in gioco di deve ballare!
Analogamente Bruce Lee intervistato riguardo alla violenza espressa nei suoi film disse che esisteva sempre una ragione radicata alla violenza in ciò che era il suo messaggio mediatico. Tuttavia nella sua incoerenza non fu da meno: al Los Angeles Institute, durante una sessione di Sparring, Daniel Lee involontariamente lo colpì in faccia con un pugno ed egli rispose rompendogli la mandibola con un devastante gancio.. Conoscendo molto bene la sua arroganza, la sua superbia e spavalderia, non accettava sgarri!..
​
(.."Io non chiamo violenza il combattimento che esprimo nei miei film, la chiamo AZIONE! Forse sembro un mostro spietato, ma io non creo personaggi di questo genere! La violenza esisteva già prima che ci fossi io, quindi io non la propagando per il gusto di apparire un uomo sanguinario e crudele. Nei miei film esiste sempre una ragione alla violenza: chi vive di violenza muore di violenza perchè chi uccide deve assumersi le proprie responsabilità! La violenza è una piaga della nostra società ed io esprimendomi nella lotta, la anestetizzo: in questo modo lo spettatore non la chiama brutalità, ma giustizia. Credo sempre più di avere un ruolo nel mondo, perchè il pubblico ha bisogno di essere educato con un messaggio potente che arrivi e bisogna farlo in modo responsabile: Ecco cosa sto facendo: non mi sento impegnato in questo, ma sono impegnato!") Bruce Lee da un intervista.. READ MORE SE VUOI ACCEDERE REGISTRATI
​
Chi oggi ha più di 60 anni e vide quell’incontro in diretta televisiva, ricorderà molto bene quella serie a mitragliatrice di pugni e soprattutto l’indifferenza dell’arbitro che non fece il suo dovere. Sarebbe bastata una dura punizione, ma la rabbia congiunta alle regole del ring del tempo, molto più blande, ha prodotto la tragedia. Allora come oggi, esistevano le vie legali ed anche se sarebbe stato molto complicato mettere a nudo uno status che era completamente tabù, Griffith avrebbe dovuto procedere legalmente contro Paret, così come Clay si rifiutò di andare a combattere in Vietnam. In ogni caso sarebbe stata la fine della sua carriera, ma almeno avrebbe salvato la propria dignità.​
Griffith purtroppo ascoltò il grido di guerra proveniente dal proprio Ego, ed in guerra come si sa bene non esistono avversari ma solo nemici da eliminare. A nostro parere non esiste offesa o oltraggio per quanto grave o gravissimo sia, che meriti l'omicidio e quella fu una vera e propria esecuzione. La violenza estrema deve essere sempre plausibile e legittimata da un sentimento di giustizia. Non deve mai essere fine a se stessa.
Episodi del genere ce ne sono sempre stati, con la differenza che non hanno avuto odiens in quanto poco o nulla pubblicizzati. Ricordiamo i primi UFC dove gli incontri erano interstile per risalire in tempi abbastanza recenti o le morti cui abbiamo assistito in un tempo molto remoto, nel famoso KARATE-DEATH degli anni ''70, dove esisteva un regolamento empirico e i colpi arrivavano veramente a segno a causa di una totale incompetenza arbitrale. Nasi rotti, mandibole fratturate, costole fratturate e dita divelte erano all'ordine del giorno. Si combatteva senza protezioni perchè si pensava ci fosse il controllo dei colpi e che questa regola incentivasse maggiormente l'autocontrollo. Abbiamo visto atleti, anche di una certa caratura inveire contro l'arbitro, con comportamenti antisportivi e soprattutto minacciosi, contravvenendo qualsiasi etica e morale socio culturale. L'episodio più eclatante porta il nome di Dominique-Valera ai mondiali di Karate a Long-Beach del 1975: colpì l'arbitro che lo aveva squalificato per scorrettezza. Come egli ammise fu errore di gioventù, ma gli costò la fine della carriera nel Karate Tradizionale. Dovettero passare moltissimi anni prima che un vero e proprio regolamento nelle discipline da combattimento sportivo ed una classe arbitrale professionale, avessero ragione sui disastri causati dall'Ego.
In ogni caso il responsabile di queste situazioni è sempre l' il "Super-Io" che fa pensare di essere il migliore, di non accettare critiche, verdetti, sconfitte, di rispondere con la massima ferocia per far prevalere il proprio sistema, la propria abilità, la propria ragione, dimostrare che la propria scuola non è seconda a nessuno.
Ad ogni modo anche senza indagare nel passato, il fenomeno non è per niente anacronistico in quanto si perpetua nelle palestre dei giorni nostri: "Non esistono cattivi allievi ma solo cattivi insegnanti".. Qualcuno potrebbe affermare che spesso l'Allievo ci mette del suo! Quante volte prima dello Sparring si vede una Classe di amici che però dopo la sessione di scambio libera si trasforma in un gruppo di Vendicatori della serie "Wanted-Revenge". ...
A VOI LA CONCLUSIONE!